di Mario Matteini
[Terzo episodio di otto del ciclo “La valigia nella storia”]
Episodi della serie:
1. Le valigie della speranza
2. Le valigie salvifiche
3. Le valigie del grand tour… de force
4. Le valigie delle sorprese
5. Le valigie dei migranti
6. Le valigie dei tempi di guerra
7. Le valigie delle stragi
8. Questo lo prendiamo noi
Buon giorno e buon fine settimana. Nel proporvi il terzo episodio del ciclo di Mario Matteini sulla storia della valigia, vi accogliamo con la citazione di copertina tratta dal Viaggio in Italia di Goethe, il grande scrittore e umanista tedesco dalla cui straordinaria sensibilità e modernità è diventata mainstream l’idea del viaggio di formazione, esistenziale.
Ma vediamo cosa ci racconta il nostro Matteini della valigia nell’epoca dei viaggi di diletto e di cultura.
Buona lettura!
Dolce viaggiare
Le caratteristiche del bagaglio cambiano nel corso dei secoli in relazione alla tipologia del viaggio e del viaggiatore. A partire dal XVII secolo si verificano mutamenti importanti. La mobilità, che, dopo le scoperte geografiche, ha cominciato a interessare anche i territori oltreoceano, cresce progressivamente, grazie anche al miglioramento dei mezzi di trasporto, delle strade e delle strutture per l’accoglienza, dalle stazioni di posta alle locande.
Contemporaneamente cominciano anche i viaggi compiuti non per motivi economici, politici e religiosi, ma per interessi culturali. Questi nuovi viaggiatori non sono diplomatici, mercanti, militari o pellegrini, ma giovani spinti dal desiderio di visitare città e luoghi di interesse artistico e culturale.
Il loro è un viaggio di formazione, che interessa prima i giovani dell’aristocrazia britannica e poi, nel corso del Settecento, diventa di moda in molti altri paesi europei. Può durare da pochi mesi a qualche anno: non a caso sarà definito Grand Tour.
Attenzione alle esalazioni
Meta privilegiata dei giovani rampolli della nobiltà europea è l’Italia, con le sue città d’arte, i resti archeologici, i paesaggi e le numerose collezioni artistiche e di antiquariato. Nei loro bagagli riponevano indumenti per tutte le stagioni, scorte di vario genere, carte geografiche e anche testi contenenti indicazioni relative a luoghi da visitare, itinerari, locande.
Si tratta, in pratica, di vere e proprie guide, che fornivano anche raccomandazioni particolari, come quella di legare bene il baule per prevenire furti o di portarsi dietro, oltre alle lenzuola, anche delle pelli di cervo da stendere sul materasso per evitare “esalazioni nocive”.
Sempre con il sacco a pelo
Oltre ai soliti bauli, cominciarono ad essere usati anche bagagli più comodi da maneggiare, come la vache di cuoio rigido, a forma di parallelepipedo, che poteva essere stipata sul cassone posteriore o sul tetto della carrozza, il veau di pelle morbida, che era collocato all’interno della vettura, il sac de nuit, fatto con un tessuto resistente da tappezzeria, legato con una cordicella che faceva anche da manico, nel quale era riposto quello che serviva per le soste o per le notti da trascorrere in carrozza.
Assolutamente necessario divenne il nécessaire de voyage, una valigetta, generalmente di legno pregiato, contenente oggetti destinati a vari usi: materiali per la toeletta, generi di conforto, l’occorrente per scrivere, disegnare, cucire. Celebre il nécessaire di Paolina Borghese, contenente 96 oggetti diversi, fra i quali posate, candelieri, caffettiere, una brocca, una bacinella, due specchi, profumo e strumenti per manicure.
Alcuni bagagli erano destinati ai libri oppure ai medicinali, altri perfino ai letti, con dotazione di sacco a pelo di pelle di pecora, cuscini, coperte di lana, lenzuola e zanzariera.
Ecco che ci pensa Louis Vuitton
Nell’Ottocento la svolta è determinata dalla trasformazione rivoluzionaria che avviene nei trasporti. Le navi e, soprattutto, i treni a vapore permettono di viaggiare a un numero crescente di persone, sia per necessità che per diletto.
I bagagli si devono adattare ai nuovi mezzi di trasporto. Lo comprende perfettamente Louis Vitton, che, dopo aver fatto il falegname con il padre e l’apprendista in una fabbrica parigina di bauli e articoli da viaggio, nel 1854 apre un suo negozio in Rue Nueve des Capucines.
Qui, nel 1858, realizza un nuovo tipo di baule. Ha il coperchio non più bombato ma piatto ed è realizzato con una struttura in legno di pioppo, resistente e leggero, rivestito con una particolare tela impermeabile, con rinforzi metallici agli angoli. Più compatto e leggero rispetto ai bauli tradizionali, può essere agevolmente collocato nelle cuccette dei treni e nelle stive dei transatlantici.
Il sigillo “LV”
Il successo è notevole. Eugenia de Montijo, moglie di Napoleone III, diviene una sua appassionata cliente. La preferenza accordatagli dall’imperatrice, vera e propria influencer ante litteram nel campo della moda, lo fa in breve diventare fornitore ufficiale di numerosi esponenti dell’alta società dell’epoca, per alcuni dei quali realizza veri e propri bagagli personalizzati.
Con il successo arrivano anche i primi tentativi di falsificazione. Per contrastare la produzione di falsi, inventa prima una tela particolare, dal disegno a scacchiera con quadrati chiari e scuri, sui toni del marrone o del grigio, e, nel 1896, la tela con il monogramma “LV”. Quello che ancora oggi è uno dei marchi più contraffatti al mondo.
Una valigia di cartone
Nel corso della seconda metà dell’Ottocento, con la diffusione dei viaggi in treno, gradualmente si passa dal pesante baule al borsone.
Per il passaggio dal borsone alla valigia come la si intende oggi bisogna attendere un’altra rivoluzione nei trasporti, ossia l’automobile, fra le due guerre mondiali. Per essere trasportato il bagaglio deve avere forma e dimensioni adatte. Nasce così la valigia e il baule diventa il vano dell’auto nel quale si caricano le valigie.
Le prime valigie erano fatte di un materiale chiamato fibrone, in pratica cartone pressato. Erano foderate di carta, avevano una maniglia su una delle parti più lunghe e la chiusura era realizzata con cinturoni. Gli angoli erano rinforzati con supporti triangolari metallici.
Dal fibrone si passa alla pelle, che consente di realizzare valigie più leggere, adatte anche ai trasporti aerei.
… meglio l’alluminio
Nel 1937 viene realizzata la prima valigia in alluminio dalla azienda tedesca Rimowa. Fondata a Colonia nel 1898, Rimowa si era specializzata nella costruzione di borse e valigie in tessuto e in pelle. Nel 1937 l’azienda è distrutta da un incendio, tutti i materiali vanno in fumo ad eccezione dell’alluminio.
Al titolare viene allora l’idea di costruire valigie in alluminio. Commercializzate dopo la fine della guerra, inizialmente non hanno una grande accoglienza, perché ricordano troppo le baracche di lamiera cresciute sulle macerie della guerra.
Il successo inizia a partire dagli anni Sessanta, quando nei film polizieschi appaiono valigie di alluminio, che, piene di banconote o di gioielli, escono intatte da inseguimenti rocamboleschi, sparatorie e scontri vari. Leggere e resistenti saranno poi largamente impiegate, specialmente nei viaggi aerei.
Trolley e vai
A partire dagli anni Sessanta del Novecento sono gli sviluppi dell’industria chimica che favoriscono l’impiego di nuovi materiali nella costruzione delle valigie. Si inizia dall’ABS (acrilonitrile-butadiene-stirene) per arrivare a materiali plastici sempre più leggeri e resistenti, come il policarbonato, e al trolley con le ruote, con il quale siamo già al Duemila.
Prima di andare
La storia dell’indice analitico. L’amico Paolo, co-fondatore della Compagnia del conio, mi ha regalato un libro che, da tempo, mi chiedevo perché non ci fosse ancora. È il lavoro di uno storico inglese Duncan, Dennis. Già il suo porsi in copertina in questa forma (cognome virgola nome) ti dice quello che ti aspetta una volta aperto il libro. È infatti una storia dell’indice (analitico, in italiano), che in inglese si dice solo “index”. Il titolo correttamente è Indice, storia dell’. Dai manoscritti a Google, l'avventurosa storia di come abbiamo imparato a orientarci nel sapere, uscito con UTET due mesi fa. 333 pagine.
UTET, adesso del Grupo Planeta, si è rimessa in pista alla grande e la proposta editoriale lo dimostra appieno. Prendendo la copia cartacea (beh!, 26,60 euro) UTET vi omaggia anche dell’ebook da scaricare tramite una facile procedura da eseguire sul sito dopo essersi registrati. Bellissima cosa! Quante volte abbiamo dovuto comprare lo stesso contenuto? Se prendiamo un contenuto dobbiamo avere accesso a tutti i suoi formati, o no? Quante volte avete comprato o pagato per Arancia meccanica?
Naturalmente nel libro ci sono 34 pagine di indice analitico. Purtroppo mal replicato nell’ebook, dove diventa un mero elenco di parole senza link ai contesti. Cosa che non ti aspetteresti vista l’attenzione che l’autore dedica alle indicizzazioni con procedure computerizzate, ma non è colpa sua è colpa dell’editore che ha dato poco peso all’ebook. Gli ebook di goWare, invece, hanno tutti l’indice analitico con i link attivi e anche, alle volte, una lista della parole con il maggior numero di occorrenze.
Indice, storia dell’ è, comunque, una lettura suprema per chi i libri li fa, per chi li legge e per chi li studia. Se volete saperne di più, qui.
5 Marylin da 1 miliardo di $. Una serigrafia di Andy Warhol sarà messa all'asta da Christie’s il prossimo maggio per un valore stimato in 200 milioni dollari (record per un artista moderno). Si tratta di “Shot Sage Blue Marilyn”. La tela è gemella di altre 4 Marylin realizzate da Warhol all’inizio degli anni ’60 con differenti colori di fondo (red, orange, light blue e turquoise). Ritraggono il volto della Monroe comparso nel film Niagara del 1953 di Henry Hathaway con Joseph Cotten (a noleggio sulle principali piattaforme).
Un pomeriggio del 1964, l’artista performativa Dorothy Podber entrò nella Factory di Wahrol sulla 47a Strada (est) a Manhattan, si infilò un paio di guanti, estrasse un revolver e sparò un colpo alle tele di Marylin impilate e appoggiate su una parete dello studio. L’unica a non essere bucata dal colpo di pistola fu la versione turchese. Da qui la parola “shot” nel nome dell’opera. Senz’altro il colpo di pistola non letale a maggiore valore aggiunto della storia. Il buco però non c’è più, Warhol l’ha fatto riparare.
Hurrà per Ethereum. Per validare le sue attività la cripto piattaforma passerà dal protocollo Proof-of-stake che ha una bassa voracità di energia rispetto alla sua alternativa, il Proof-of-work, che però continuerà a vigere nel mondo del bitcoin. Il nuovo protocollo esige il possesso di 32 ETHER (circa 105 dollari) per poter operare sulla piattaforma. Più che ragionevole e un bel passo in avanti. Fra un po’ sarà tutto cripto.