30 marzo 2022 11:38

Quando la Russia invase la Crimea, Stati Uniti e Unione europea pubblicarono un comunicato congiunto per promuovere l’importazione in Europa del gas naturale liquefatto (Gnl) prodotto negli Stati Uniti. Era il 2014 e il “gas statunitense” doveva salvare l’Europa dalla dipendenza dal gas russo.

Otto anni dopo, lo scorso 24 febbraio, la Russia ha invaso l’Ucraina, l’Europa importa ancora più del 40 per cento del gas da Mosca e l’industria statunitense dei combustibili fossili continua a chiedere al governo d’introdurre leggi che “garantiscano la leadership e la sicurezza energetica degli Stati Uniti sul lungo periodo”, come si legge in una lettera del 28 febbraio inviata dall’American petroleum institute al dipartimento dell’energia.

“È arrivato il momento di cambiare rotta e restituire agli Stati Uniti un ruolo dominante nel mondo dell’energia”, dice un’altra lettera consegnata al presidente Joe Biden pochi giorni dopo e firmata dagli esponenti repubblicani della commissione del senato per l’energia e le risorse.

Questi sono solo due esempi di una tendenza più ampia: l’industria dei combustibili fossili e i suoi alleati “stanno strumentalizzando la crisi per favorire le loro esportazioni”, spiega Julieta Biegner, responsabile per la comunicazione e le campagne di sensibilizzazione per Global witness.

Un’àncora di salvezza
Svitlana Romanko, attivista e avvocata ucraina esperta di ambiente e clima, definisce questo processo peace washing, cioè l’esibizione di un finto impegno a favore della pace per aumentare i profitti. Oggi molte aziende del settore dei combustibili fossili stanno adottando questi comportamenti. Secondo Romanko, “i profitti che stanno generando sono enormi”.

In Europa le compagnie petrolifere e del gas stanno prosperando grazie all’aumento dei prezzi dell’energia. Negli Stati Uniti gli amministratori delegati hanno guadagnato miliardi di dollari dopo l’insediamento dell’amministrazione Biden. Da quando la guerra “è diventata inevitabile”, i dirigenti hanno venduto azioni per milioni di dollari, come conferma uno studio recente. Ora stanno usando i profitti imprevisti per arricchirsi ulteriormente. Per questo alcuni parlamentari statunitensi hanno proposto una tassa sui guadagni extra delle grandi aziende petrolifere, un’idea sostenuta da una nuova campagna chiamata Stop the oil profiteering (Fermate l’arricchimento attraverso il petrolio). I ricavati sarebbero usati per bilanciare l’aumento dei prezzi del gas.

In realtà, non solo le aziende petrolifere occidentali hanno approfittato della crisi globale (e questa non è una novità), ma hanno anche “ricoperto un ruolo importante nel processo che ha spinto Putin fino a questo punto”, spiega Jamie Henn, direttore di Fossil free media. “È la terribile ironia di questo momento: le compagnie petrolifere e del gas hanno contributo a innescare la crisi”.

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Molte grandi aziende del settore – BP, Exxon, Shell, Equinor, Eni – hanno da tempo interessi legati al gas russo. Romanko sottolinea che è servita la pressione del mondo intero davanti alla “vergognosa violazione dei diritti umani e del diritto internazionale da parte di Putin” per spingere la maggior parte di queste aziende a prendere le distanza dalla Rosneft, dalla Gazprom e da altre compagnie russe. Secondo Kert Davies, fondatore e direttore del Climate investigations center, i rapporti con le aziende russe dell’energia erano ormai un “rischio per la reputazione” troppo grande perfino per i giganti del settore.

Davies sottolinea quanto sia importante che l’opinione pubblica conosca gli investimenti a lungo termine in Russia di queste aziende. In un articolo che analizza i legami tra la Exxon e Mosca, Davies ha ricordato che nel 1982, nonostante il presidente Reagan fosse contrario alla costruzione di gasdotti tra la Russia e l’Europa, aziende come la Exxon, la Shell e la Bp programmavano di usare il gas sovietico per alimentare la propria fornitura.

Per le aziende che cercano di rallentare la transizione energetica il gas rappresenta “un’àncora di salvezza”, spiega Biegner. Collegare il gas alla guerra è solo l’ultimo espediente per tenere in vita questa fonte di energia. Da tempo l’industria dei combustibili fossili sostiene la falsa narrazione secondo cui il gas naturale sarebbe un “combustibile ponte”, ovvero pulito o comunque più pulito rispetto al carbone e, quindi, utile per garantire un futuro a basse emissioni.

Il gas non è facilmente trasportabile come il petrolio. In effetti, fino alla creazione delle varie tecnologie che permetto la liquefazione del gas, il trasporto e la successiva rigassificazione in appositi impianti, il gas poteva essere trasportato solo attraverso i gasdotti, il mezzo con cui ancora oggi gran parte del gas russo raggiunge i paesi dell’Unione europea. I gasdotti incrementano la dipendenza energetica e dimostrano con quanta facilità il gas possa essere monopolizzato.

Nel 2019 oltre un quarto del greggio straniero arrivato nei paesi dell’Unione europea veniva dalla Russia, così come il 41 per cento del gas naturale e il 47 per cento del combustibile solido (soprattutto il carbone). Nel 2021 la percentuale delle importazioni di gas ha raggiunto il 45 per cento rappresentando circa il 40 per cento del consumo complessivo di gas nell’Unione europea. Tra i paesi che hanno importato le quantità maggiori di gas dalla Russia ci sono la Macedonia del Nord, la Slovacchia, la Finlandia, la Bulgaria, la Germania, l’Italia e la Polonia. Nel 2021 le vendite di petrolio e gas naturale sono state il 36 per cento del bilancio complessivo della Russia.

“Da molto tempo la macchina bellica di Putin viene finanziata, alimentata e nutrita attraverso il carbone, il petrolio e il gas”, spiega Romanko. “La crescita militare della Russia è stata finanziata con i soldi delle esportazioni e dell’esplorazione dei giacimenti”.

Le parole di Romanko sono ripetute anche da Svitlana Krakovska, climatologa dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) che stava finalizzando il lavoro sulla seconda parte del sesto rapporto di valutazione dell’Ipcc quando la Russia ha invaso l’Ucraina.

“Senza i combustibili fossili questa guerra non sarebbe stata possibile”, spiega Krakovska dalla sua casa a Kiev, dove continua a vivere nonostante il conflitto.

La bandiera del patriottismo
Da quando Putin ha invaso l’Ucraina, l’Europa ha speso più di 17 miliardi di euro per acquistare gas, petrolio e carbone dalla Russia. La Germania e l’Italia sono particolarmente dipendenti dal gas russo e nel 2021 hanno speso rispettivamente 14 e 10 miliardi di euro.

Le esportazioni di gas non sono solo una fonte di reddito per l’imperialismo di Putin, ma sono anche state usate come strumenti politici, rafforzando l’influenza di Mosca sugli stati dell’Unione e su altri paesi europei che in passato facevano parte dell’orbita sovietica.

Secondo Bloomberg, nella prima settimana di marzo il governo di Mosca ha risposto alle sanzioni imposte dopo l’invasione dell’Ucraina minacciando di interrompere la fornitura verso l’Europa attraverso uno dei principali gasdotti. “Putin ha strumentalizzato il gas per rafforzare il suo dominio energetico sull’Unione europea e intimidire i paesi che vogliono aiutare l’Ucraina”, spiega Romanko.

L’industria che oggi promette di salvare l’Europa dalla dipendenza del gas e del petrolio russo è la stessa che ha contribuito a creare la crisi. Negli Stati Uniti “le compagnie petrolifere e del gas usano il loro ‘harem’ di politici per influenzare il governo e arricchirsi sempre di più”, ha scritto in una email indirizzata a DeSmog l’ambientalista Bill McKibben, autore e fondatore di 350.org.

Il giorno in cui la Russia ha invaso l’Ucraina, l’American petroleum institute (Api) ha scritto su Twitter: “Mentre in Ucraina incombe la crisi, la leadership degli Stati Uniti nel campo dell’energia è più importante che mai”. Il tweet era accompagnato da un’immagine con la scritta “Scateniamo l’energia americana!”. Nel thread, l’Api ha rivolto una serie di richieste all’amministrazione Biden, dalla riduzione della regolamentazione alla concessione di permessi per i progetti di sviluppo energetico sui terreni federali.

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“L’argomento patriottico”, come lo chiama Henn, viene usato anche in alcuni paesi europei. In Italia, per esempio, a febbraio il governo e la lobby dei combustibili fossili hanno chiesto di dare la priorità al “gas italiano” per promuovere l’indipendenza energetica e il taglio dei prezzi della benzina.

L’industria dei combustibili fossili e i suoi alleati stanno usando l’invasione dell’Ucraina per promuovere l’indipendenza energetica non solo nei circoli politici, ma anche presso l’opinione pubblica. “Penso che una delle argomentazioni più efficaci portate dall’industria dei combustibili fossili sia quella secondo cui i loro prodotti sono irrinunciabili, come se petrolio e gas fossero indispensabili per il nostro modo di vivere, per la nostra economia e il mondo del lavoro”, aggiunge Henn.

All’inizio di febbraio Energy Citizens, un “movimento” progettato a tavolino, mascherato da organizzazione civica e lanciato nel 2009 dall’Api, ha pubblicato su Facebook una serie di annunci a pagamento in cui si collegavano i combustibili fossili all’idea d’indipendenza e sicurezza. “Energia prodotta in America, per tenerci più sicuri”, si leggeva in un annuncio. “Gas naturale e petrolio americani: fondamentali per la nostra indipendenza energetica”, diceva un altro. Diverse versioni di questi annunci, pagati dall’Api, circolano ancora su Facebook.

“L’industria del petrolio e del gas sta cercando di avvolgersi nella bandiera del patriottismo”, spiega Henn. “Penso che lo stesso fenomeno sia in corso in tutto il mondo: le aziende petrolifere e del gas si presentano come un elemento essenziale per la sicurezza nazionale”.

Più di seicento organizzazioni di 57 paesi hanno firmato una petizione per chiedere ai leader politici di “mettere fine alla dipendenza globale dai combustibili fossili che nutre la macchina da guerra di Putin”, un’iniziativa proposta dagli attivisti ucraini all’inizio di marzo. Il 3 marzo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) ha presentato un piano in dieci punti per ridurre la dipendenza dell’Unione europea dal gas russo. Oltre a chiedere di non stipulare nuovi contratti per la fornitura di gas con la Russia, il piano suggerisce di accelerare i nuovi progetti basati sull’energia solare ed eolica, di sostituire le caldaie con le pompe di calore e di massimizzare le attuali fonti di energia a basse emissioni.

Secondo Romanko i dieci punti dell’Iea forniscono un “buon sostegno”. Ma aggiunge: “Non vedo un linguaggio chiaro in merito alla fine della dipendenza dai combustibili fossili. Usano linguaggio, numeri e argomentazioni che indicano solo una riduzione della dipendenza dal petrolio, dal gas e dal carbone russi”.

Romanko riconosce l’importanza di abbandonare il carbone, il gas e il petrolio provenienti dalla Russia, ma sottolinea che il punto non è sostituire il gas russo con quello statunitense o di qualsiasi altro paese, ma abbandonare completamente i combustibili fossili. “Non vogliamo che i combustibili fossili provenienti dalla Russia siano sostituiti dalle riserve di altri paesi nel mercato internazionale e negli investimenti”, dice suggerendo la creazione di un “trattato di non proliferazione dei combustibili fossili per spingere tutti i governi ad allontanarsi da queste fonti di energia”.

Come hanno sostenuto in molti, la guerra in Ucraina non è una guerra per le risorse energetiche, ma è “legata a filo doppio alla nostra dipendenza dal petrolio e dal gas”, spiega Henn.

Indipendenza energetica
Molti conflitti internazionali hanno un legame con le risorse energetiche. In Iraq, Siria, Sud Sudan e Nigeria i combustibili fossili hanno provocato violenti conflitti. Le riserve petrolifere dell’Angola hanno alimentato violenze, corruzione e danni ambientali. Dinamiche simili sono emerse in altre parti del mondo.

Dato che il petrolio e il gas vengono scambiati sul mercato globale non è importante da quale paese vengano. “Fino a quando saremo dipendenti dal petrolio e dal gas saremo in balìa dei petrostati e continueremo ad alimentare la crisi climatica e le ambizioni degli autocrati come Putin”, spiega Henn.

Alcuni paesi europei, tra cui la Germania e i Paesi Bassi, hanno annunciato che rafforzeranno i progetti legati all’energia eolica e solare per accelerare la transizione verso l’energia pulita e abbandonare il gas russo. Altri paesi, come la Francia, vogliono mettere fine ai sussidi per le caldaie a gas e sostenere l’acquisto di pompe di calore.

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“La vera indipendenza energetica si baserà sulle energie rinnovabili”, spiega Henn. “Non penso che l’idea da promuovere sia: ‘Ognuno nel suo piccolo castello con i suoi pannelli solari e le batterie, e a quel paese tutti gli altri”, dice. “Dovremo collaborare per costruire solidi sistemi energetici, agricoli e climatici. Dobbiamo creare società più sane capaci di condividere valori come il rispetto dei diritti umani, la sostenibilità e l’uso di energia pulita, e dare più potere alle comunità locali”.

Romanko sottolinea la necessità di ottenere “energia rinnovabile accessibile, equamente distribuita e gestita delle comunità”.

In particolare è importante capire quanto la crisi climatica sia legata a ogni altro aspetto della vita. I mezzi d’informazione occidentali tendono a presentare il riscaldamento globale, le emissioni e lo sfruttamento dell’ambiente come fenomeni legati solo all’ambiente e al clima.

“Il fatto che il rapporto dell’Ipcc sia stato pubblicato contemporaneamente all’inizio della guerra è l’ennesima dimostrazione del fatto che dovremmo affrontare la crisi climatica e la guerra insieme”, spiega Romanko. “Sono problematiche connesse tra loro, direttamente legate alla transizione energetica e alla giustizia climatica”.

La terza parte del rapporto dell’Ipcc, che si concentrerà sulla mitigazione della crisi climatica, sarà completata ad aprile. “Ho un sogno,”, mi ha detto Krakovska, “La guerra è cominciata durante l’ultima sessione dell’Ipcc. Spero che durante la prossima sessione la guerra possa finire”.

La crisi climatica riguarda la politica, la salute pubblica, l’economia, la cultura, la giustizia sociale, la geopolitica e molte altre sfere. Parlare dell’emergenza climatica senza sottolineare i suoi collegamenti con altri ambiti rafforza il messaggio secondo cui questa crisi non ha legami con la nostra vita, la nostra salute e la nostra sopravvivenza. È un messaggio falso.

La crisi climatica ne contiene al suo interno molte altre. Ma le soluzioni, inevitabilmente, non possono essere cercate nelle dinamiche che l’hanno provocata. “I combustibili fossili”, afferma Romanko, “sono diventati un’arma di distruzione di massa”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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