Salute

È il 2020, e l'Italia è uno dei pochi paesi europei in cui ci sono ancora allevamenti intensivi di visoni

Si è parlato molto dei visoni in Danimarca e del coronavirus—ma quanti sanno della situazione in Italia?
allevamenti di visoni italia
Visoni in gabbia. Foto per gentile concessione di Essere Animali.

Questo articolo è scritto tramite Essere Animali, una organizzazione no profit che conduce indagini sotto copertura all'interno di allevamenti intensivi.

Mercoledì 4 novembre la prima ministra danese Mette Frederiksen ha ordinato l’abbattimento di 17 milioni di visoni per timore che una mutazione del SARS-CoV 2 negli animali potesse rendere meno efficaci gli sforzi per trovare un vaccino contro il virus. 

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La mutazione è stata identificata dalle autorità sanitarie danesi, che hanno rinvenuto ceppi virali con una sensibilità minore agli anticorpi, sia negli esseri umani che nei visoni. Contemporaneamente, il governo ha introdotto misure più stringenti in sette municipalità dello Jutland settentrionale interessate dai contagi. 

L’opposizione e i proprietari degli allevamenti non hanno accolto positivamente la decisione, e da qualche giorno si sta parlando della loro legalità. Di fronte a questa possibile inversione di marcia alcuni hanno gridato vittoria, dimenticando che da anni questi animali vengono abbattuti per diventare pelliccia.

Visoni e coronavirus

Come ha spiegato Nicola Decaro, professore ordinario di malattie infettive degli animali all'Università di Bari e componente dell'executive board del College europeo di microbiologia veterinaria, questi animali sono particolarmente sensibili all’infezione da coronavirus. Nei visoni il virus può persistere per lungo tempo—facendoli diventare dei ‘serbatoi’—e può amplificarsi, a differenza di ciò che succede in altri animali, come cani e gatti. 

Queste caratteristiche, unite al fatto che i visoni possono essere contagiati dagli esseri umani e contagiarli a loro volta, rendono gli allevamenti intensivi luoghi particolarmente a rischio. È da qui che è nato il caso danese. Per ora, però, focolai di coronavirus all’interno degli allevamenti di visoni sono stati registrati non solo in Danimarca e Olanda, ma anche in Spagna, Stati Uniti, Svezia e Italia.

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Come funziona l’abbattimento dei visoni

La notizia delle operazioni di abbattimento ha così riacceso i riflettori su un’industria crudele, oltre che anacronistica, che dopo le campagne animaliste degli anni Novanta aveva ricevuto minore attenzione. Le immagini ritraggono cumuli di visoni senza vita accatastati gli uni sugli altri in grandi cassoni—che ad alcuni hanno ricordato quelle della caccia alla foca, pratica che sopravvive ancora oggi. 

C’è poi un altro dettaglio che ha colpito molti, ed è la modalità con cui questi animali vengono uccisi: per soffocamento in camere a gas. I visoni sono animali semiacquatici, abituati a trattenere a lungo il respiro; questo significa che la scelta non risparmia loro alcuna sofferenza—e arriva a conclusione di mesi vissuti in minuscole gabbie rialzate da terra, a stretto contatto con altri esemplari nonostante la loro indole solitaria e senza poter soddisfare i bisogni tipici della loro specie, come nuotare e correre. L’abbattimento, ovviamente, avviene sia se l’obiettivo è fermare la trasmissione di un virus, sia che gli animali siano destinati a diventare un inserto “in vero pelo.”

L’industria delle pellicce in Europa

L'industria delle pellicce è in profonda crisi in tutta Europa. Se da un lato le vendite sono in drastico calo, dall’altro gli allevatori si trovano di fronte a un quadro normativo sempre più severo. Nel continente, gli allevamenti di animali da pelliccia sono del tutto vietati in 13 stati, inclusi Regno Unito, Norvegia e Repubblica Ceca. In Germania e Svizzera invece le leggi sul benessere di questi animali sono talmente restrittive che non esiste alcun allevamento.

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Negli ultimi mesi, la pandemia ha esacerbato la crisi: l’Olanda, quarto produttore mondiale dopo Cina, Danimarca e Polonia, ha deciso di imporre il divieto di allevamento di animali da pelliccia a partire dal 2021, a causa delle decine di focolai negli allevamenti di visoni sparsi per il paese. Il divieto era già stato annunciato, ma sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2024.

La Polonia sta discutendo in questi mesi una proposta di legge che imporrebbe il divieto, e la Francia ne ha recentemente emesso uno dal 2025 solo per l’allevamento di visoni (mentre resta possibile allevare altri animali per la produzione di pelliccia, come ad esempio i conigli). 

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Da una protesta contro gli allevamenti di visoni. Foto per gentile concessione di Essere Animali.

Gli allevamenti di pellicce in Italia

Ad agosto sono risultati positivi al SARS-CoV 2 almeno due campioni prelevati in un allevamento di visoni in provincia di Cremona, ma le autorità sanitarie non hanno comunicato la notizia all’Oms se non dopo due mesi. Nonostante questa scoperta, non sono state prese misure sufficienti a contrastare l’emergenza e, come denuncia la LAV (Lega anti vivisezione), in due allevamenti della regione sono state infrante le norme di biosicurezza. 

In questo momento sappiamo che gli allevamenti attivi in Italia sono 11, di cui tre senza animali al loro interno. Sette degli otto degli stabilimenti che contengono animali si trovano in regioni particolarmente colpite dalla pandemia: tre in Lombardia, due in Veneto, due in Emilia Romagna. Regione, quest’ultima, che sembra stia considerando la chiusura dei suoi allevamenti, come recentemente dichiarato dall’assessore alla sanità della Regione Emilia Romagna, Raffaele Donini.

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Essere Animali, l’organizzazione di cui faccio parte, denuncia da anni le raccapriccianti condizioni dei visoni rinchiusi negli allevamenti italiani. Tre video indagini documentano, per la prima volta in Italia, i comportamenti stereotipati, aggressivi e autolesionistici che gli animali assumono perché costretti in cattività. 

Nell’attuale legislatura sono state depositate, a firma di deputati e senatori di diverso schieramento politico, tre proposte di legge sul divieto di allevamento, cattura e uccisione di animali per la produzione di pellicce, ma sono ferme da anni in attesa di una discussione.

La carta del lavoro

Dopo anni di dibattito sulla chiusura dell’Ilva, solo per fare un esempio, siamo già abituati alla narrazione che contrappone il diritto al lavoro e quello alla salute—che sia degli animali o degli esseri umani. Ma il divieto di allevamento di animali da pelliccia in Italia, oltre a non generare particolari oneri a carico dello Stato per il modesto numero di allevamenti da convertire, non comporterebbe mancati guadagni per gli operatori commerciali del settore, come concerie, artigiani, aziende di moda. Le pellicce dei visoni allevati in Italia sono acquistate grezze e quasi esclusivamente da acquirenti russi e cinesi attraverso aste internazionali specializzate.

Si tratta quindi di un’attività residuale, in drastico calo negli anni —cosa che non vale per gli allevamenti intensivi per la produzione di cibo, un settore per nulla in crisi ma anch’esso a rischio dal punto di vista sanitario. 

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Se all’inizio della pandemia ci siamo nascosti dietro al pregiudizio che questi virus possano emergere soltanto in paesi lontani con abitudini alimentari diverse da quelle occidentali, questa volta ci troviamo di fronte a una verità innegabile: dove c’è un allevamento intensivo, ci sono anche rischi sanitari (oltre ai già ben documentati problemi che questi luoghi comportano per gli animali, l’ambiente e i diritti dei lavoratori). 

Dal 9 al 15 novembre Essere Animali ha lanciato una Settimana d’Azione online per chiedere al governo un intervento urgente, con una raccolta firme per vietare per sempre gli allevamenti di animali per la produzione di pellicce.