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Euro digitale, ecco perché la Bce deve accelerare (English version)

di Federico Fubini

Euro digitale, ecco perché la Bce deve accelerare (English version) Benoît Georges Cœuré

La banca centrale cinese lavora per rendere lo yuan digitale operativo già da febbraio. Ciò metterà la Banca centrale europea sotto pressione, perché anticipi l’euro digitale magari al 2023 o 2024?
«Chiaramente, la Cina sta avanzando verso la moneta digitale a enormi passi — risponde Benoît Coeuré, capo dell’Innovation Hub della Banca dei regolamenti internazionali ed ex membro dell’esecutivo della Banca centrale europea che parteciperà all’evento della Banca d’Italia oggi a Milano —. Ma la pressione sulla Bce e altre banche centrali non è a causa della Cina. È a causa della trasformazione digitale che sta avendo luogo attorno a loro».

A cosa si riferisce di preciso?
«Nuove soluzioni tecnologiche si affacciano praticamente ogni giorno e ridisegnano il paesaggio. Ci sono le criptovalute, che magari non sono usate per i pagamenti, ma per alcuni potranno diventare un’alternativa valida anche per quelli. C’è la finanza decentralizzata (che non si basa su intermediari come broker, borse o banche ma utilizza smart contract sulla blockchain, ndr). E ci sono gli stablecoin (monete digitali agganciate a valute di riserve come il dollaro, ndr) che bussano alla porta».

Perché la corsa delle tecnologie sarebbe un problema per la Bce?
«Per esempio perché su queste questioni andranno prese decisioni di tipo regolamentare, ma per ora non sappiamo se ci sarà un euro digitale. Non si può prendere una decisione informata sulla regolamentazione degli stablecoin o della finanza decentralizzata, senza sapere se ci sarà un’alternativa pubblica. Dunque c’è una sconnessione tra l’orizzonte dei regolatori, che devono prendere adesso delle decisioni e quello delle banche centrali, che spostano in avanti il lavoro sulle valute digitali. Ne capisco le buone ragioni. Disegnare l’archiettura di una moneta digitale è difficile e ci sono aspetti che richiedono valutazioni politiche, per esempio sulla protezione dei dati dei consumatori. La Bce, come anche le altre banche centrali, non può decidere tutto da sola. Deve consultarsi con i 19 Stati membri, con il parlamento europeo e con l’opinione pubblica. La mia opinione personale è che la pressione di mercato aumenterà e l’intero processo finirà per svilupparsi più in fretta di quanto pensiamo, perché il mondo intero si sta muovendo così velocemente attorno a noi».

Sta dicendo che le banche centrali e i governi devono agire sulla moneta digitale o finiranno soggette alla «disruption» da parte del settore privato, saranno spiazzate?
«La possibile ‘disruption’ non riguarda solo i sistemi di pagamento. Pensi alla vigilanza bancaria. Le banche usano sempre di più i Big Data e gli algoritmi nelle loro decisioni di credito. Ma come ci assicuriamo che capiamo cosa sta accadendo? Capiamo se le banche hanno la governance giusta per gestire i rischi che vengono da questi strumenti? Se i supervisori non hanno risposte, saranno spiazzati. La ‘disruption’ è ovunque, non solo nei pagamenti».

Va ringraziata Facebook, con il suo progetto di stablecoin prima chiamato Libra, ora Diem, perché sfidando il monopolio delle banche centrali sul denaro ha suonato loro la sveglia?
«L’annuncio di Libra nel 2019 in effetti suonò la sveglia sia per le banche centrali che per i governi. Ma la Bce è stata proattiva: aveva già lanciato il suo sistema di pagamenti rapidi, Tips, nel 2018. Vero è però che Libra ha mostrato ai policymaker un possibile scenario in cui i pagamenti potrebbero essere controllati da grandi entità private con molto potere di mercato e una forte capacità di controllare e gestire i dati personali. Questo potenzialmente crea preoccupazioni per la concorrenza, per la privacy e per la frammentazione della liquidità sui mercati».

Che succederà alle banche commerciali, con la moneta digitale delle banche centrali e con cittadini comuni che potrebbero avere depositi presso la banca centrale, collegati ai loro smartphone?
«Non credo che la moneta digitale sia la sfida più incalzante oggi di fronte alle banche. Se non saranno soggette alla sfida della moneta digitale, allora lo saranno a causa delle soluzioni di pagamento fornite da entità private diverse. Oggi le banche sono sottoposte alla concorrenza di Fintech più piccole sui sistemi di pagamento e dalle Big Tech, che possono entrare nei pagamenti e nel credito. In Cina sta già accedendo».

Le banche come devono reagire?
«Devono riflettere su quale sarà il loro ruolo in questo nuovo ambiente e come trarne beneficio. Le banche europee sono difensive quando si parla di tecnologia, mentre negli Stati Uniti e in Asia vanno all’offensiva. Per lo più le banche asiatiche hanno concluso che la trasformazione tecnologica accadrà comunque e cercano modi per guadagnarci. Invece le banche europee vogliono esserne protette. Ciò mi preoccupa, perché è solo un aspetto di un’atteggiamento più generale in Europa».

Lei incalza le banche centrali perché lancino una moneta digitale, ma la Federal Reserve americana non pensa di farlo. La sua insistenza finirà per infastidire qualcuno?
«Il nostro ruolo alla Bri non è quello di dire alle banche centrali cosa fare, ma possiamo aiutarle a lavorare insieme. La moneta digitale di banca centrale ha importanti aspetti tecnologici. E sempre più la tecnologia è un’area in cui le nazioni competono, quando addirittura non si combattono. Noi non vogliamo che la discussione sul futuro del sistema finanziario globale sia ostaggio della competizione tecnologica. Servono luoghi in cui le banche centrali e le altre autorità continuino a parlarsi di questioni come la moneta digitale. La Bri è uno di quei luoghi».

Lei lavora a un sistema di pagamenti fra monete ufficiali digitali. Ma la Cina qui è leader. Lei finirà per accelerare il ruolo globale dello yuan?
«Non credo. Lo yuan digitale è fondamentalmente un progetto interno alla Cina. Non è in primo luogo pensato per un uso al di fuori, almeno non inizialmente. Mi sembra in primo luogo una reazione delle autorità all’impatto crescente delle loro Big Tech nei sistemi di pagamento».

Le autorità cinesi hanno paura di essere spiazzate dalle Big Tech?
«Sì. Vediamo gli stessi dibattiti ovunque. L’Europa non ha Big Tech, ma in un certo senso sarebbe peggio perché la ‘disruption’ arriverebbe da Big Tech straniere: americane o cinesi».

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