IL DECALOGO

Le 10 questioni sul clima che dovremo affrontare anche in mezzo a una guerra

di Beppe Severgnini

Le 10 questioni sul clima che dovremo affrontare anche in mezzo a una guerra Una delle fotografie finaliste del concorso Budapest International FotoAwards, nelle categorie “Nature”, “Environment” e “Science”

Questo editoriale è stato pubblicato sul numero di marzo di Pianeta 2030 cartaceo - parte del progetto multimediale che il quotidiano dedica a sostenibilità e ambiente - , in edicola mercoledì 30 marzo gratis con il Corriere. Lo anticipiamo per i lettori di Corriere.it

C’è un episodio, avvenuto giorni fa negli Stati Uniti, che illustra bene la confusione del momento, e la difficoltà di ragionare, insieme, di guerra e di ambiente. Il protagonista è Donald Trump. Gli viene domandato quali saranno le conseguenze della guerra di Putin per l’America. Risponde rispolverando il vecchio odio per le pale eoliche (windmills): «Rovinano il paesaggio, uccidono gli uccelli e poi vengono lasciate lì ad arrugginire!». Intendeva riferirsi alla necessità di diversificare le fonti energetiche? Voleva cambiare discorso ed evitare di accusare la Russia? Impossibile entrare nella testa dell’ex presidente. Ma la vicenda dimostra che la combinazione guerra + ambiente produrrà di tutto, nei prossimi mesi e anni: confusione, ossessioni, paura e superficialità. Tanta superficialità.

Può sembrare prematuro - inopportuno, addirittura - ma dobbiamo iniziare a domandercelo: che ne sarà della battaglia per l’ambiente, dopo la guerra in Europa? La lotta contro il cambiamento climatico, che in questi anni ha coinvolto le nuove generazioni, verrà rimandata? O addirittura accantonata, come un vestito fuori moda?
Sono domande semplici. Il fatto stesso di porsele - in questo momento, mentre cadono le bombe e muoiono le persone - può apparire fuori luogo. Non è così. La questione climatica non scomparirà a causa del conflitto. Quanti di noi, passando su un ponte e guardando il fiume in secca, hanno rivolto un pensiero a quell’emergenza? Pochissimi. Eppure il problema è drammatico: la carenza d’acqua nel Po (come mostra la mappa pubblicata sul numero di marzo di Pianeta 2030 cartaceo) sta mettendo in crisi l’approvigionamento idrico della pianura padana, intorno alla quale ruota il benessere italiano.

Un altro esempio, apparentemente distante. La Russia oggi (2021-2023) presiede il Consiglio Artico, forum internazionale istituito nel 1996 per monitorare e contrastare il fenomeno di fusione dei ghiacci. Difficile immaginare un impegno del Cremlino in materia, nel futuro. Eppure la questione è seria, e potrebbe cambiare la vita sul pianeta. Occuparcene - sì, anche oggi - non è una distrazione, ma una necessità. Se ci rompiamo una gamba, non rinunciamo alle altre cure in corso, quelle che possono salvarci la vita. Fuor di metafora: la gravità di quanto sta accadendo in Ucraina è lapalissiana, non solo per noi europei. Ma dimenticare l’ambiente, e le decisioni prese finora, sarebbe grottesco. E autolesionista. Greta non è più per strada con i suoi cartelli, gongolano i negazionisti del climate change. Ma l’allarme rilanciato dalla ragazza svedese, in nome della scienza, è sempre lì.

È altrettanto vero che un conflitto di questa portata produce cambiamenti: di attenzione, di priorità, di modalità. Potrebbe addirittura creare qualche opportunità, se avessimo l’intelligenza di coglierla. Ecco un decalogo delle questioni che saremo costretti - non invitati, non spinti: costretti - ad affrontare nei prossimi mesi e anni.

1 RIMPIANTO

C’è voluta una guerra per capire - in Europa, in Germania, in Italia - che la dipendenza da un regime esportatore di combustibili fossili fosse sbagliata e pericolosa. Le energie rinnovabili coprono oggi solo il 19,4 per cento del fabbisogno energetico nazionale. Il resto è così suddiviso: carbone 4,4 per cento, petrolio 34,4 per cento, gas naturale 41,8 per cento. Di questo quasi la metà, pari a 29 miliardi di metri cubi, proviene dalla Russia. Se ci fossimo mossi prima, l’energia oggi non verrebbe usata come un’arma.

2 PRIORITÀ

È più urgente trovare nuovi fornitori o fonti alternative? La discussione è uscita dai ministeri e dai centri-studi ed è già arrivata in televisione. La risposta sembra ovvia. È indispensabile ridurre la nostra dipendenza dalla Russia, soprattutto in materia di gas (l’attivismo internazionale del Ministro degli Esteri e dell’Eni lo dimostra). Ed è fondamentale potenziare le fonti rinnovabili (biocombustibili, solare, eolico, idroelettrico). Una cosa non esclude l’altra. Se non nei talkshow, quando gli ospiti sono impreparati o male informati.

3 OPPORTUNITÀ

Secondo la Iea (International Energy Agency) la guerra può essere una sveglia che l’Europa deve ascoltare. Per dimostrarlo ha elaborato un piano costituito da dieci azioni concrete. Tra queste, la necessità di aumentare l’efficienza energetica negli edifici e nell’industria; e di ridurre le temperature domestiche. In sostanza: saremo obbligati a fare, di necessità, virtù.

4 AUTORIZZAZIONI

Per quanto riguarda eolico e fotovoltaico si inasprirà il confronto fra chi privilegia il paesaggio (le Sopraintendenze) e chi pensa alla produzione di energia (il Ministero della Transizione Ecologica). Non è un caso che siano stati appena sbloccati sei parchi eolici tra Puglia e Basilicata per 347 megawatt: il via libera del Consiglio dei ministri è arrivato dopo attese di almeno tre anni. Ma provate a informarvi sulle autorizzazioni necessarie per rimettere in funzione un semplice mulino: un’odissea.

5 VECCHIO E NUOVO

La riapertura delle centrali a carbone chiuse è esclusa. Ma è facile prevedere che l’utilizzo a pieno regime delle centrali esistenti avverrà in assenza di discussioni. Il nucleare? Mario Draghi in Parlamento (9 marzo) è stato esplicito, e l’assenza di polemiche dopo il suo intervento la dice lunga: «L’impegno tecnico ed economico è concentrato sulla fusione a confinamento magnetico, che attualmente è l’unica via possibile per realizzare reattori commerciali in grado di fornire energia elettrica in modo economico e sostenibile. Il Consorzio EUROfusion prevede l’entrata in funzione del primo prototipo di reattore a fusione nel 2025-28».

6 RISCHI

Sono quattro le centrali nucleari attualmente in funzione in Ucraina, per un totale di quindici reattori. Secondo i dati della World Nuclear Association, generano una potenza di 13.107 megawatt, che coprono il 55 per cento del fabbisogno energetico nazionale. La possibilità che una di queste centrali venga colpita, intenzionalmente o meno, esiste. E le conseguenze sarebbero catastrofiche.

7 CATENE ALIMENTARI

L’Ucraina è uno dei granai del mondo, e così la Russia. L’effetto della guerra sui costi alimentari in Europa si fa già sentire, ma l’impatto sarà ancora più violento in Medio Oriente e Nordafrica: la dipendenza dell’Egitto dal grano russo e ucraino è dell’85 per cento. Libano, Marocco e Algeria sono intorno al 60 per cento. Le conseguenza sono facili da immaginare, soprattutto tra le fasce deboli della popolazione. Ne parleremo? Solo quando gli effetti si faranno sentire. Per esempio, davanti a nuove, massicce ondate migratorie.

8 MOBILITÀ

La transizione verso l’auto elettrica non si interromperà, ma rallenterà; e non solo per le ostilità di buona parte del mondo industriale, che ritiene l’operazione complessa, costosa e tanto affrettata da diventare demagogica. Un elemento da considerare sarà la difficoltà nel produrre vetture nuove - diversi componenti vengono prodotti in Ucraina e in Paesi vicini al conflitto - e il ritorno in auge dell’usato, un mercato dove le vetture ibride ed elettriche sono poche.

9 STIMOLO

La guerra, che nessuna persona sana di mente si augura, porta a rotture nette col passato, e apre scenari imprevisti. Massimo Gaggi sul Corriere ha ricordato come gli analisti di Citi, una delle maggiori banche americane, sostengano che “creare un deterrente militare capace di preservare la pace e garantire maggiore stabilità internazionale” è un obiettivo compatibile con quelli dei fondi Esg, gli investimenti che puntano su imprese attive in campo ambientale, sociale e di governance.

10 REALISMO

È possibile, e auspicabile, che gli estremismi sul tema ambientale si riducano. Gli ambientalisti più radicali capiranno che l’energia è fondamentale per la vita delle persone e delle imprese, e qualche compromesso è necessario. Gli scettici si convinceranno che il ricorso alle energie rinnovabili è salutare per tutti e per tutto: il pianeta, l’economia, la pace. Ottimismo eccessivo? No, speranza necessaria.