Se cade la pregiudiziale antifascista

Fosse stato per Draghi e per le altre forze che lo sostengono, al governo – oltre che un partito di estrema destra come la Lega – ci sarebbero anche i postfascisti di Meloni. Questo esecutivo è infatti il primo nella storia repubblicana che esplicitamente nasce senza nemmeno una parvenza di pregiudiziale antifascista.

Jacopo Rosatelli

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Il numero 4/2021 di MicroMega offre ai lettori un focus sulla situazione politica con saggi di Pierfranco Pellizzetti, che fa il punto sulla continua crescita delle diseguaglianze in questo secondo anno di pandemia; Tomaso Montanari, che spiega perché la “rivoluzione verde” di Draghi non è una rivoluzione e non è verde; Antonella Stirati, che mette in guardia dal fatto che, stanti le regole europee vigenti, il Recovery Fund rischia di non avere il portato di crescita che tutti si aspettano; Marina Boscaino, che spiega perché la scuola pensata dal governo Draghi è al servizio del mercato e non dell’eguaglianza; e infine Jacopo Rosatelli – del cui saggio proponiamo qui un estratto – che sottolinea come quello Draghi sia di fatto il primo governo repubblicano che ha esplicitamente respinto la pregiudiziale antifascista.

Esiste ancora la pregiudiziale antifascista nella politica italiana? La domanda nasce da una constatazione: il governo di Mario Draghi è il primo della storia repubblicana del quale avrebbero potuto fare parte insieme sinistra ed estrema destra. Non è accaduto, per fortuna. Ma non è accaduto solo perché l’estrema destra, cioè Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, ha deciso di non partecipare alla union sacrée che abbraccia tutto il resto dell’emiciclo parlamentare, con la lodevole eccezione – nella parte opposta dello spettro – di Sinistra italiana. Dal Partito democratico, dalle forze minori sedicenti liberali, dal Movimento 5 Stelle e persino dalla maggioranza bersaniana di Liberi e Uguali non era giunto nessun aut aut, nessun «o noi o loro». […].

Senza che questa constatazione sia necessariamente un giudizio di valore, occorre riconoscere quindi che il governo Draghi è il primo che esplicitamente nasce senza nemmeno una parvenza di pregiudiziale antifascista, cioè di volontà di marcare un distanziamento dall’estrema destra da parte di forze che si considerano – e indubbiamente sono, malgrado tutti i cambiamenti di nome e identità politica – figlie della storia dei partiti che hanno combattuto la Resistenza e poi scritto la Costituzione repubblicana. Una pregiudiziale – lo si dica una volta per tutte a scanso di equivoci – frutto non di un pregiudizio, ma di un giudizio storicamente fondato e, si potrebbe dire, politicamente fondativo: il ripudio del fascismo e di tutto ciò che, direttamente o indirettamente, a esso si richiama. Ripudio motivato dal fatto che il fascismo fu la catastrofe della democrazia e dello Stato di diritto, fu violenza e guerra, ma non solo: come scriveva Vittorio Foa nell’opuscolo clandestino Quaderni dell’Italia libera del 1° ottobre 1943, «il fascismo è l’annosa consuetudine ad attendere che tutte le decisioni vengano dall’alto, è l’acquiescenza, la sopportazione, è nell’attesa il piccolo e mediocre opportunismo, il lasciar correre sulle piccole ingiustizie sulle quali poi si edificano le ingiustizie più grandi e radicali, è in una parola l’inerzia politica e la sfiducia nella libertà che non è un dono ma si conquista e si difende in ogni ora della vita». […].

[L’estratto qui pubblicato corrisponde al 10% del testo integrale pubblicato in MicroMega 4/2021]

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