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Basket, Serie A: Sistema, organizzazione e crescita: l'Happy Casa Brindisi è il top in Italia

Marco Arcari

Aggiornato 14/12/2020 alle 11:56 GMT+1

Un filotto di 9 successi consecutivi in Serie A, suggellato dal colpaccio in trasferta contro la corazzata Olimpia Milano. Un'identità di gioco precisa e definita, grazie alla totale sinergia tra Frank Vitucci (coach) e Simone Giofrè (direttore sportivo). Un trio di giocatori (Harrison, Thompson e Willis) a fare la differenza e a guidare un gruppo coeso e versatile. Questa è l'Happy Casa Brindisi.

D'Angelo Harrison, Happy Casa Brindisi - Focus

Credit Foto Eurosport

Solamente un’impresa avrebbe potuto interrompere il percorso netto della corazzata AX Armani Exchange Milano in questa LBA 2020-21. Tale, appunto, deve essere considerato il colpaccio esterno (82-88) dell’Happy Casa Brindisi. Un successo brindisino che, se da un lato non ridimensiona neanche lontanamente rango cestistico e ambizioni dell’Olimpia di coach Ettore Messina, dall’altro certifica ulteriormente l’inizio scintillante della più sorprendente tra le 16 (ormai 15, sic!) invitate al grande ballo per lo Scudetto. Una vittoria che non è però figlia del caso, anzi. Il risultato maturato ieri al Forum di Assago è soltanto la sublimazione di un percorso, coerente e continuativo, di una societàche sta crescendo a dismisura sotto ogni profilo. Un itinerario che affonda le sue radici al 14 dicembre 2017, data in cui Vitucci, allora ex-tecnico dell’Auxilium Torino, fu chiamato a sostituire Sandro Dell’Agnello sulla panchina di una squadra in crisi d’identità, ma soprattutto di risultati.

Frank Vitucci, un coach incredibilmente sottovalutato

Che Vitucci fosse un head coach troppo poco considerato, e non certo per colpe sue, lo si era capito già da tempo. Allievo di alcuni tra i più grandi nomi della panchina anni ‘80, tra i quali il Paròn, Tonino Zorzi, Frank è stato anche privato di soddisfazioni, che avrebbe di gran lunga meritato, da una sorte non sempre benevola. A Venezia, dopo anni di onoratissimo servizio nel settore giovanile e come vice, ha riportato la Reyer in Serie A1, dovendo però poi fare i conti col fallimento dello storico club. A Treviso, anche qui dopo proficui anni da assistant coach, non ebbe nemmeno tempi e modi per dimostrare tutto il proprio valore, pur avendo lanciato definitivamente Alessandro Gentile tra i pro e centrato 4 successi nelle prime 5 partite della stagione 2009-10.
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Compilation di schiacciatone per Derek Willis contro Milano

A Varese mancò invece l’acuto decisivo, dopo una stagione 2012-13 ai limiti della realtà, per qualità di gioco mostrata e organizzazione del sistema Cimberio. Anni dopo, l’amarezza per quella stagione sarebbe aumentata, considerando ciò che avrebbe sentenziato il Tribunale Federale FIP in merito alla Mens Sana Siena, squadra che aveva estromesso i biancorossi dalla vittoria di Coppa Italia (in finale) e Scudetto (semifinale). Nessuno può però toglierci la legittima convinzione che, in quella stagione, Vitucci non sarebbe stato solo proclamato come miglior coach della Serie A, bensì avrebbe sollevato al cielo almeno un trofeo. È però proprio la mancanza di palmarès che dà la dimensione di cosa significhi, oggi, fare l’allenatore di pallacanestro. Un basket che si evolve tanto velocemente da rendere quantomeno sciocco l’utilizzare il numero di trofei vinti quale criterio unico per stabilire la bontà di un allenatore. Da anni Frank Vitucci è infatti uno dei migliori allenatori su piazza, non solo in Italia. Capace di gestire al meglio le rotazioni, di essere psicologo e comunicatore sopraffino, aspetti che, come insegna Max Allegri, sono oggi forse perfino più importanti della preparazione tattica, specie quando si ha a che fare con grandi giocatori e campioni. Tatticamente abilissimo nell’inserire individualità debordanti in un concetto organico di squadra, in cui il singolo conta sempre meno del collettivo, pur avendo comunque modi, tempi e spazi per far emergere tutto il meglio del proprio repertorio.

Una meravigliosa sinergia tra parquet e scrivania

Il ruolino di marcia (9-1) maturato finora in Serie A non è però solamente frutto dell’abilità di Frank Vitucci. Il corso 2020-21, ma anche i precedenti, dell’Happy Casa Brindisi dimostra anzi quanto sia fondamentale lasinergia, l’unione d’intenti, tra il parquet, inteso come gruppo squadra, e la scrivania, quale metafora della dirigenza. La connection tra Vitucci e Simone Giofrè, direttore sportivo della Stella del Sud, è allora da prendere come esempio di quella che dovrebbe sempre essere una proficua e intelligente collaborazione tra due figure oggi imprescindibili, ma necessariamente poliedriche, in una squadra di pallacanestro. Non è certo un caso se, da anni, l’Happy Casa non buchi neanche un acquisto sul mercato dei giocatori statunitensi.
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Darius Thompson è un mago, che spettacolare gioco da 3 punti contro Milano!

Ciò significa, anzitutto, che Giofrè ha una preparazione tale da poter mettere a disposizione del proprio coach un roster a immagine e somiglianza di quest’ultimo fin dai raduni estivi. Per restare all’attualità, si prendano le sostituzioni di Adrian Banks con D’Angelo Harrison, di John Brown con Nick Perkins e, infine, di Kelvin Martin con Derek Willis. L’idea di pallacanestro è chiara, condivisa a 360°, e allora il pedigree di ogni singolo giocatore passa in secondo, se non in terzo, piano rispetto alla sua funzionalità e potenziale fusione nel sistema. Senza dimenticare la valorizzazione del territorio, quale bacino di raccoglimento dei prospetti più interessanti a livello regionale, ma non solo. Un’esaltazione del prodotto cestistico autoctono che, tra anni ’70 e ’80, fu una delle cause (certo non unica) dei decenni d’oro del basket italiano. Non è certo un caso se, nell’ultima vera stagione giovanile, considerando gli stop forzati imposti a livello istituzionale a causa della pandemia, Brindisi fosse balzata agli onori della cronaca per il grande percorso e per i risultati ottenuti, tanto a livello regionale, quanto in ambito nazionale.

Un nuovo tridente, per sognare ancora più in grande

A cavallo tra anni ’80 e ’90, nella Napoli calcistica c’era la MaGiCa, sigla coniata ad hoc per indicare il tridente offensivo composto dal compianto Diego Armando Maradona, da Bruno Giordano e da Antônio de Oliveira Filho, in arte Careca. A Brindisi c’è oggi una nuova sigla, stavolta tutta cestistica: la HaWiTho. D’Angelo Harrison, Derek Willis e Darius Thompson sono infatti i 3 tenori principali di un collettivo meraviglioso, senza ovviamente nulla togliere ad alcuno degli altri membri del gruppo. Nella sfida contro l’AX Armani Exchange il terzetto biancoblu si è spinto perfino oltre i propri limiti, mostrando un repertorio completo. Harrison è giocatore d’assalto, realizzatore puro che sa però snaturarsi e mettersi volentieri al servizio della squadra. Al netto delle sue doti di tiratore di striscia, specie da distanze siderali, in una domenica dal 2/7 da oltre l’arco, Harrison ha dimostrato di saper attaccare intelligentemente in 1vs1 e punire ogni minima disattenzione difensiva avversaria, ma anche di poter essere un rifinitore aggiunto oltre che un eccellente rimbalzista (per il ruolo). Willis è invece stato protagonista di un’altra abbacinante gara da all-around player. Non solo bidimensionalità offensiva, come testimonia la bomba che ha chiuso sostanzialmente la sfida, ma anche tanto lavoro oscuro, grande lettura del gioco e un atletismo che in LBA fa la differenza. A 25 anni l’ex-Kentucky è uno dei nuovi giocatori più interessanti in tutto il panorama europeo: difficile trovare un’ala così completa in termini di esplosività, movimenti spalle e fronte a canestro e versatilità in entrambe le fasi di gioco.
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Compilation di schiacciatone per Derek Willis contro Milano

Infine, Thompson, molto più che un semplice regista. Con Harrison accanto ha modo di esprimere maggiormente le proprie abilità di passatore e creatore primario, ma non per questo ha disconosciuto la propria natura di realizzatore e gran giocatore di 1vs1 fino al ferro (65% in stagione da 2). Gestione spesso oculata dei ritmi, con accelerazioni quasi sempre al momento giusto, versatilità offensiva e gran lavoro anche in fase di non possesso. Un trio completo, all’occorrenza anche molto spettacolare, forgiato da uno dei migliori tecnici su piazza. Diventa allora poi puro esercizio di stile, spiegare come mai Brindisi sia capolista.
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Highlights: Milano-Brindisi 82-88

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