Genova 2001 vent’anni dopo: un altro mondo è (ancora) necessario

Dal disastro ambientale alla concentrazione delle ricchezze, il movimento “no global” è stato profetico. La lotta per un’alternativa alla globalizzazione neoliberista è oggi più attuale che mai.

Maurizio Franco

Il ‘68 del Nuovo Millennio non durò due giorni. Anche questa definizione – il ‘68, appunto, come etichetta e semplificazione da giustapporre ai grandi scossoni di massa contro il potere costituito – fa storcere il naso a chi ha vissuto sulla propria pelle le scariche telluriche del movimento altermondialista. Luglio 2001, le giornate che sconvolsero il mondo, l’Italia, soffocata dal gas Cs – l’orto-clorobenziliden-malononitrile e la nevrosi chimica che ha ammorbato i polmoni e le gole di migliaia di persone – e Genova, la città teatro della repressione di Stato nella caligine estiva di una democrazia sospesa. Un’istantanea: il cadavere di Carlo Giuliani.

“No global” è un’ulteriore pecetta mediatica, stavolta a ribasso, per stigmatizzare l’imponente azione di protesta e di critica dell’esistente, come “arretrata e incapace di cogliere il senso della modernità”. Ma quale modernità? Marco Bersani è il fondatore di Attac Italia, il tassello tricolore dell’omonima rete transnazionale “di opposizione e alternativa al neoliberismo” – e il suo resoconto delle annate che chiusero il ‘900 e aprirono agli anni zero, coinvolge. Affascina perché è il racconto di un processo lungo e tortuoso che non si è aperto a Genova e non si è chiuso a Genova. Come in tanti pensano.
Seattle, il 30 novembre 1999, le manifestazioni, i cortei e la dura opposizione alle decisioni dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) di ingabbiare il globo nelle maglie del mercato. Il 15 febbraio 2003, quando le piazze strariparono di rabbia contro la guerra in Iraq proclamata dal Presidente Usa George W. Bush.

È in questo lasso di tempo che si srotola l’epopea delle tute bianche e delle associazioni ambientaliste, delle organizzazioni pacifiste, delle reti, dei partiti, dei collettivi e delle realtà conflittuali. Che, in quella fase, si coalizzarono. Una storia non riassumibile in poche migliaia di caratteri. Con l’epifania dei forum sociali, dislocati in ogni parte del globo: nel 2001, le 70 mila presenze ufficiali nella conferenza di Porto Alegre, o l’appuntamento fiorentino, l’anno dopo. Discutere ed elaborare una strategia ostinatamente in direzione contraria.

Il movimento dei movimenti cosa rivendicava? Un altro mondo possibile e necessario. Antitetico alla globalizzazione liberista e alle dinamiche di sfruttamento del capitalismo. Alle iniquità strutturali che il G8 avrebbe codificato e istituzionalizzato. “Smentendo di fatto l’assunto di Margaret Thatcher: there is no alternative. Ovvero che non c’era alternativa al modello economico e sociale egemone. Milioni di persone dicevano con forza il contrario”, afferma Bersani. E operavano nella consapevolezza, sedimentata, di far parte del 99 per cento della popolazione vessato e schiacciato dagli interessi di classe della parte più opulenta della società. Nel frattempo, Genova era lì, incastrata nel flusso, la miccia che farà da propulsore per gli anni a venire. “Se non ci fosse stato il mediattivismo, la verità di quei giorni – il massacro e la violenza razionale delle forze dell’ordine – non sarebbe emersa. E neanche il carattere espansivo degli eventi” spiega Bersani. La casa editrice Alegre (il nome è un chiaro riferimento ai fasti del passato) ha appena pubblicato “Millennium bug. Una storia corale di Indymedia Italia”. Un libro collettivo sul fenomeno che rivoluzionò l’universo in espansione della comunicazione, stravolgendo “la gerarchia delle fonti di informazione, con un progetto no profit basato sull’autogestione che anticipò molti degli strumenti nati successivamente”.

E il declino di ciò che fu quel coacervo di sensibilità, analisi e dibattiti? “Il movimento contro la guerra in Iraq non intaccò le volontà dei Governi occidentali, che proseguirono il conflitto armato. Giustificandolo in ogni modo. Una mobilitazione di tale portata non aveva scalfito il muro di gomma eretto da chi comandava il mondo. Il sistema non aveva più bisogno del consenso delle masse e agiva di conseguenza”, dichiara Bersani. La governance liberista rispondeva (e lo fa tuttora) a se stessa. Una sconfitta, sì. Nonostante tre milioni di persone, soltanto in Italia, avessero preso parte alla straordinaria onda d’urto per la pace e il disarmo. Ma non una fine, sottolinea il fondatore di Attac. “Gli attivisti tornarono nei territori, forti di quella esperienza e tentarono di tradurre il portato acquisito in lotte e vertenze specifiche”.

Ma un tracollo c’è stato. Quello della sinistra partitica e, in primis, la Rifondazione comunista di Fausto Bertinotti segretario, interna e partecipe alle sollevazioni che animarono gli anni d’oro del conflitto sociale. E sgretolata poi negli emicicli di Governo del centro sinistra, vittorioso sulla macchina da guerra di Silvio Berlusconi.

Il territorio, quindi, e le nuove forme di attivismo e militanza. Nel 2003, a Firenze, il Forum mondiale alternativo dell’acqua: si pretendeva il riconoscimento della molecola di H20 come “bene comune dell’umanità”, universalmente accessibile. E ci si scagliava contro il mantra delle privatizzazioni, propugnato dall’establishment a Kyoto, negli stessi giorni.

Le ricadute locali. Nel 2011, in Italia, il referendum per l’acqua pubblica, con la schiacciante vittoria del “Sì”. Una mobilitazione capillare, fatta di comitati spontanei, in fibrillazione in tutti gli anfratti del Paese. (la nascita nel 2006 del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, le 406 mila firme per la legge d’iniziativa popolare e la manifestazione oceanica del 2007: una piccola cronistoria di una vittoria mutilata).

Un percorso la cui filiazione non è direttamente riconducibile a Genova. “Ma senza quei fatti, non ci sarebbe stato” afferma il fondatore di Attac Italia. Come il movimento studentesco dell’Onda anomala, nel 2008, e il ritorno, due anni dopo, del protagonismo del mondo della formazione. Dentro e fuori gli atenei e le scuole. Stesso discorso: germinazione da quella storia e crescita in completa autonomia.

Il debito pubblico e le sue performance. Altro capitolo. Al contro-vertice del 2001, come ricorda Bersani, fu un nodo assimilabile al giogo che le nazioni del Sud del mondo erano costrette a portare. Il marchio dello sviluppo diseguale e del dominio dell’emisfero ricco. Solidarietà era la parola guida che animava il dibattito.

Col tempo la questione è diventata dirimente e di carattere planetario. Una scure sulle classi subalterne dei Paesi industrializzati. Sulla linea dell’orizzonte si stagliavano i processi di finanziarizzazione dell’economia. Che, nel 2008, avrebbero fatto accartocciare la contabilità di molti Stati e generato una crisi economica devastante.

“Noi, all’epoca, proponevamo la Tobin Tax, una tassa sulle transazioni finanziarie, i cui proventi, da destinare ad obiettivi sociali e ambientali”. Nel 2002, Attac Italia lanciò la proposta di una legge di iniziativa popolare in tal senso, che raccolse 178 mila firme.

Secondo Bersani, il debito e il suo peso retorico e politico sono stati il miscuglio proteico per far ingollare le secchiate di privatizzazioni che hanno poi inondato la sfera pubblica. Obblighi inevitabili, così dipinti dai sacerdoti della modernità capitalista. Gli stessi che declamavano le “magnifiche sorti progressive” della globalizzazione.

In Italia, come in vari Paesi, le campagne contro il pagamento dei miliardi di “arretrati” presero avvio. Travalicando gli anni zero e imponendosi sullo scenario pubblico del decennio appena trascorso. Come il Forum per la Nuova Finanza pubblica, che, tra le altre cose, si mosse per ri-pubblicizzare Cassa depositi e Prestiti, il monolite economico dello sviluppo italiano. O la vivisezione del debito attraverso il meccanismo popolare dell’audit. “Siamo in credito” – e giù il lungo elenco di diritti e tutele negate – e “Noi la crisi non la paghiamo” erano gli slogan intonati nelle piazze.

Il movimento, quindi, è stato profetico: la finanziarizzazione dell’economia e, di conseguenza, la riduzione a merce di tutto ciò che corrobora le nostre esistenze. La concentrazione delle ricchezze e il progressivo accumulo in poche e avvizzite mani. Il disastro ambientale provocato dalla distruzione creatrice del capitalismo e dalla furia del sistema produttivo: estrarre risorse, ritenute illimitate, e sterilizzare porzioni sempre più consistenti del pianeta. Subordinare ogni scelta, ogni esperienza al profitto. Sempre e comunque. Il movimento ci aveva visto lungo. E, a vent’anni di distanza, la tragicità della chiaroveggenza politica ha concretizzato quelle macabre immagini.

“Ad oggi, non ci basta dire: avevamo ragione. E addirittura sarebbe insensato affermare: facciamo come Genova. Perché il contesto è mutato”, dichiara Bersani. “Sono le ragioni, le motivazioni, le storture e le falle ad essere sempre le stesse. Oggi come allora, è necessario ribellarsi” e trovare nuove forme di organizzazioni del conflitto. Il covid-19 ha svelato con ancora più nitore le contraddizioni che il movimento palesava e analizzava agli esordi del XXI secolo. La globalizzazione voluta dagli otto leader delle super potenze ha esasperato le iniquità. Il virus ha sguazzato in questi liquami. “La pandemia ha utilizzato le iperconnessioni dei sistemi produttivi e finanziari per diffondere la propria virulenza” in tempi record. “Attraverso i corpi della logistica, il turismo globale, le catene produttive e della distribuzione”, dice Bersani: le funzioni e gli strumenti della globalizzazione. Che, incessantemente spostano e rimescolano.

Il Coronavirus ha mandato in tilt i circuiti arzigogolati, messi a punto durante il G8. Ma il sistema è coriaceo. La globalizzazione è un processo che, secondo Bersani, va ripensato, culturalmente ri-significato. “Territorializzare la politica e le attività economiche, partendo dai comuni e dalle città. Avviare un processo di ricomposizione complessiva sulle questioni del nostro tempo” spiega Bersani. Un progetto ambizioso. Non perseguibile in 48 ore.


Al ventennale del G8 di Genova 2001 è interamente dedicato il numero 12 di MicroMega+, la newsletter settimanale in abbonamento di MicroMega, che uscirà venerdì 9 luglio.

 

(credit foto ANSA-EPA PHOTO EPA/SRDJAN SUKI/hh/PAL)



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