6 maggio 2020 - 13:38

App Immuni, l’ingegnere di Covidapp: «Sorpresi dall’esclusione, eravamo pronti per i test»

Luca Mastrostefano racconta il progetto che era stato selezionato dalla task force del ministero dell’Innovazione come alternativa all’applicazione di Bending Spoons

di Martina Pennisi

App Immuni, l'ingegnere di Covidapp: «Sorpresi dall'esclusione, eravamo pronti per i test» L’app australiana CovidSafe (Epa)
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Luca Mastrostefano risponde da Londra, dove vive e lavora da due anni come ingegnere informatico in un fondo di investimento per startup europee: «Compio 30 anni il prossimo 27 maggio, avrei voluto festeggiare con il lancio della mia Covidapp in Italia».

Non andrà così: il progetto che Mastrostefano ha realizzato con altri 35 fra scienziati e docenti dal Brasile alla California è stato selezionato dalla task force del ministero dell’Innovazione come «buona soluzione alternativa e/o di riserva» a Immuni di Bending Spoons ma nel rush finale è stato estromesso anche dai test auspicati dagli esperti del dicastero.

«Il 14 aprile avevamo mandato un documento in cui dicevamo di essere pronti per i test sul campo di due settimane (per partire servivano comunque il decreto e l’ultima approvazione del Garante per la privacy, ndr). Quando il 16 ho letto l’ordinanza del commissario per l’emergenza Domenico Arcuri che arruolava Immuni è stata una sorpresa».

Ha pensato di fare in qualche modo ricorso, visto che la task force aveva chiesto di portare avanti almeno due soluzioni, pur definendo Immuni «più adeguata»?
«No, uscita l’ordinanza ho fatto un passo indietro. Il nostro codice continua a essere a disposizione delle autorità sanitarie che lo vogliono ispezionare, se in Italia penseranno di averne bisogno potranno usarlo. Io vivo a Londra, ma la mia famiglia è ancora in Italia e mia nonna di 94 anni vive da sola a Roma. Ho iniziato pensando a lei e voglio solo che venga adottata la migliore soluzione possibile».

La vostra non è ancora un’app fatta, pronta e finita?
«Noi non volevamo dare una soluzione chiusa e verticale. Abbiamo mostrato una demo funzionante di una soluzione che si può integrare anche nelle altre app. Quelle regionali, per esempio, perché non si può chiedere ai cittadini di scaricare l’app della Lombardia e poi quella nazionale. In Brasile stiamo lavorando così. Forse il governo italiano ha preferito affidarsi a un’azienda solida e non a una tecnologia da implementare».

Come funziona Covidapp?
«Da subito ho pensato che la soluzione ottimale fosse il Bluetooth e ho cercato di risolvere i problemi che hanno riscontrato anche a Singapore o in Australia».

Cioè?
«Siamo riusciti a far funzionare l’app su iPhone anche se non è aperta, usando la sponda del server (se, tramite il Bluetooth, gli iPhone non si vedono tra loro o non vengono visti dagli Android comunicheranno la loro presenza al server, ndr ) e a ridurre i falsi positivi».

È un sistema centralizzato che non si appoggia ad Apple e Google?
«Sì, sul server non va alcun dato sensibile o privato. E così, rispondendo alle richieste di alcuni epidemiologi, diamo la possibilità alle autorità sanitarie di contattare non solo il primo livello delle persone a rischio, ma anche quelli successivi».

Dite di aver risolto alcuni dei problemi tecnici, ma senza Apple e Google non mettete a rischio l’interoperabilità con le app di altri Paesi?
«Qualsiasi Stato o regione implementi il nostro protocollo comunica con qualsiasi altro attore abbia fatto lo stesso (ed è qui che a questo punto si chiude la questione, probabilmente: sulla contrapposizione con il modello dei due colossi a cui ha aderito Bending Spoons, ndr)».

Una versione ridotta di questa intervista è stata pubblicata sull’edizione cartacea del Corriere della Sera il 6 maggio 2020

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